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In Primo Piano

 

Francesco Chiappinelli

 

Pius Aeneas,

Impius Aeneas

 

Testimonianze 

Dante

►Note

►Bibliografia

Note

[1]  Cfr. soprattutto Il. XX 177-82 e 292-308, e l’Inno ad Afrodite, V 194-20, che contengono la famosa profezia sui destini di Enea e che forniranno più tardi alla gens Iulia motivo di autoesaltazione. Cfr. anche Trifiodoro, 651 sgg.

 

[2] Cfr. sch. ad Iliadem XII 99 e XX 306 e Strabone, Geografia XIII 1, 53. Vedi anche la nota [7].

 

[3] Nessun accenno al tradimento nella Crestomazia di Proclo. I frammenti di Lesche sono desumibili dagli scolii ai vv. 1232 e 1268 dell’Alessandra di Licofrone.

 

[4] Ne parlano Pausania X 27 e Strabone XIII 1,52, ma anche gli scoli ad Il. III 205 a, a Pindaro Pit. V 109, ad Aristofane, Uccelli 933 con importante richiamo a Sofocle, che riferiscono di una pelle di leopardo appesa alla porta, e Servio ad Aen. II 15, che parla invece di un caput equi pictum. Del tradimento di Antenore parlano anche Dionigi d’Alicarnasso (che cita Ellanico), AR I 48, Dione Crisostomo, XI 137, Eliano NA XIV 8, Quinto Smirneo XIII 300 sgg., e Suda alla voce Palladio. E’ degno di rilievo il fatto che le numerose fonti greche sul tradimento parlino solo di Antenore e magari di Eleno, Elena e Anchise, mentre Enea viene in proposito esplicitamente accusato solo da Menecrate (in Dionigi d’Alic., AR I 48) e da fonti latine .

 

[5] Cfr. Cyn. I 15, 1. 

 

[6] Cfr. Hellanicus Hist.Fragmenta 1a,4,F.31.10-71.

 

[7] Particolarmente significative quelle di Sofocle, nel Laocoonte, fr.a c. Pearson, II 44, 307; di Licofrone nell’Alessandra 1261 sgg.; di Diodoro Siculo in Bibl. VII 4, Appiano, bellum civile I 6, 41; Eliano VH 3.22 e Fr 148, Ellanico nel passo citato, Trifiodoro 651 sgg. Tra le fonti latine che esaltano il pio Enea, Ovidio Met. XIII 630 sgg.

 

[8] Antichità romane, I 48: “E Menecrate di Xanto narra che egli consegnò ai Greci la città a causa della inimicizia con Alessandro e che per questo beneficio gli Achei gli permisero di salvare la sua casa. Il suo racconto sull’argomento comincia dalla sepoltura di Achille ed è questo: “Gli Achei erano in angoscia e pensavano di aver perso l’eroe determinante per loro nella guerra. E tuttavia, datagli sepoltura, continuavano a combattere con ogni energia, finché Troia fu conquistata perché Enea la consegnò. Enea infatti, essendo privato di onori da parte di Alessandro e escluso dalla distribuzione del bottino, abbatté Priamo e così  facendo era diventato uno dei Greci”.

 

[9] Anonimo dell’Origo gentis Romanae IX 1-4. Molto più vago sarebbe il riferimento di Nevio Bellum Poenicum frg. 8,10,24,25,28.

 

[10] Cfr. Tib. Donato, ad Aen. II 199; e Servio, ad Aen. I 241, 488, 649, II 15. Particolarmente rilevante il commento a I 241, che contiene il riferimento anche ai passi di Livio I 1 e Orazio.

 

[11] Vv. 37-44.

 

[12] Ab Urbe condita, I 1.

 

[13] De beneficiis, VI 36,1. Cfr. anche ad Helviam 7.

 

[14] XI 139.

 

[15] Le testimonianze greche su Ditti sono in Suda, ad vocem; Giovanni Malala, passim; Areta, in Dionis Chrysostomi XI 92; nel papiro di Tebtunis 268 appena citato; in Costantino VII, De virtutibus et vitiis I 166-8 . Quelle latine sono desumibili soltanto dalla sua opera, diversamente che per Darete.

 

[16] Per “Darete”, oltre gli autoschediasmi desumibili dal De excidio Troiae, cfr. Tolomeo Chenno in Fozio, Bibliotheca 190; Eustazio, ad Od. I 432; Eliano, VH XI 2; Isidoro, Etym. I 42. Basterebbe considerare che egli visse tra il 560 e il 636 per respingere la tesi che l’opera di Darete sia stata composta nel VI secolo. Il nome è in Il. V 9-12 e nell’Ilias Latina al verso 403. La testimonianza di Tolomeo riporta Darete almeno al  I  secolo d.C., se non in età ellenistica. Ditti e Darete, diversamente da oggi, furono ben noti dal Medioevo a tutto l’Ottocento: vedi, tra gli altri, Muratori, Della perfetta poesia, I; Vico, Principi di una scienza nuova, Bb. Guerra Troiana; Foscolo, La Commedia, discorso sul testo del poema di Dante; Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, II 7.

 

[17] Cfr. i rispettivi prologhi.

 

[18] Particolarmente importanti sono IV 18 e 22 , V 1-18.

 

[19] La tradizione classica ne fa concordemente la moglie di Antenore, e Ditti forse per questo non parla di corruzione sua da parte del marito. E singolare che Bénoit e Guido parlino di un sacerdote, Toante(?), e non di una sacerdotessa custode del Palladio, che forse sarebbe più naturale: ma nel Medo Evo non si poteva pensare all’ipotesi di sacerdotesse. Nessun aiuto viene da Darete, che non fa cenno del Palladio. Più esplicito Suda, sub voce. Non escluderei l’ipotesi che la confusione sia dovuta alla tradizione manoscritta, per la somiglianza dei due nomi in lingua d’oil.

 

[20] Vedi i libri 3-5, passim. Cfr. anche Darete, 27-43 passim; Servio, ad Aen. III 321 e a VI 57 e naturalmente i loro imitatori medievali. La storia di Polissena era già ampiamente presente nei modelli classici, tra i quali spicca ovviamente Euripide conn l'Ecuba, dove viene raccontata anche la vicenda di Polidoro che peraltro questi autori raccontano in modo notevolmente diverso. L’amore per Polissena spinge Achille a progettare di abbandonare il conflitto, nel quale egli rientrerà ma non per l’uccisione di Patroclo bensì per il prevalere dei Troiani. Questo amore lo porterà alla morte e farà dire a Dante (Inferno, V  65-66) da Virgilio: “e vedi Achille / che con Amore alfine combatteo. Anche in questo caso, da chi se non da questa catena di autori Dante avrebbe appreso la storia di Polissena? L’unico autore latino che ne parli in questi termini è Servio.

 

[21] Le fonti tradizionali collegano il contrasto alla disputa sulle armi di Achille, che Darete e Ditti e gli imitatori medievali più coerentemente consegnano al figlio Pirro. Anche qui si coglie l’intento razionalistico dei due autori. Anche la complessa storia del Palladio andrebbe riscritta alla luce di questi testi.

 

[22] 37-44.

 

[23] Ad nationes, II 9: Enea certo mentre la patria bruciava abbandonò i compagni per inseguire una donna fenicia E lo chiameremo pio per aver salvato un solo fanciullo e un vecchio decrepito, ma aver abbandonato Priamo ed Astianatte?.

 

[24] De civitate Dei, XVIII 21: Latium post Aenean, quem deum fecerunt, undecim reges habuit, quorum nullus deus factus est. Cfr. anche XVIII 19.

 

[25] Lo fece Giuseppe Iscano o da Exeter, in Inghilterra, con la Daretis Phrygii Ylias in sei libri, disponibili nella edizione del Gompf.

 

[26] Vanno ricordati tra gli altri Jean de Flixécourt e Jofroi de Waterford; Herbort von Fritzlar e Konrad von Wurzburg  contaminarono il testo di Darete con quello di Bénoit de S.M. Ma l’elenco di autori, anche italiani, che si occuparono tra Duecento e Trecento della vicenda di Troia potrebbe continuare a lungo.

 

[27] Bénoit li chiama clerici o sapientes o addirittura cavalieri.

 

[28] Guido li cita anch’egli spessissimo, dichiarando di aver seguito Darete per i primi 25 dei suoi 32 libri e Ditti per la parte conclusiva. Spesso tuttavia egli non doveva aver dinanzi a sé nessuno dei due, ma solo il monaco normanno e le sue amplificazioni. Da buon notaio, non lo cita mai

 

[29] Darete ha uno stile schematico, apparentemente freddo e tuttavia non privo di fascino, particolarmente evidente negli ultimi capitoli; Ditti scende più nei particolari e il suo racconto segue il modus scribendi tipico dei romanzieri greci a lui più o meno contemporanei; a Bénoit bisogna riconoscere tra l’altro il merito di aver “inventato vicende sentimentali feconde come quella di Troilo e Cressida o, in nuce, quella di Achille e Pentesilea e aver ampliato notevolmente quella di Polissena contaminando anche altre fonti; Guido fa tra l’altro un lucido bilancio delle differenze abbastanza significative tra i racconti di Darete e Ditti, tra cui le storie del cavallo e del Palladio. Caratteristica di Darete e,in misura minore, di Ditti è l’impostazione razionalistica che riduce enormemente l’influsso degli dèi nella vicenda troiana.

 

[30] Un’altra vicenda che avrà un lungo seguito letterario è quella di Troilo  e Diomede amanti di Criseide/Briseide, presentata come figlia di Calcante, che però non ha radice in Ditti o Darete ma in Bénoit de S.M. Il Boccaccio la amplierà enormemente con il suo Filostrato e per il tramite di Chaucer la storia giungerà sino a Shakespeare.

 

[31]Heneas quidem in odium Priami excellentissimam urbem Troiam destrui persuasit.”

 

[32] Storie de Troia e de Roma (databile, nella redazione latina, alla prima metà del XII secolo).

 

[33] Quant Troie fu prinse et mise à feu et à flame, et que l’on ocioit  les uns et les autres, Eneas li filz Anchises o tout son pere et Aschanius son fil s’en issirent hors et emporterent  grandesime(1) tresor, et avec tout plain de gent s’en alerent à sauveté. Et por ce racontent li autors(2) que cil aparcurent la traison, et plusor dient qu’il n’en seurent riens se à la fin non (3) que la chose ne pot estre destornée; mais, comment(4) que la chose fust, il et sa gent s’en alerent par mer et par terre, une hore(5) avant et autre arrieres, tant que ils arriverent en Ytaille.

(1) A 3 ; amportierent grant, F ; s’en issi et enporta grandisme, R, W, Y, F3 ;  (2) auctor, que il sot la traison, et qu’il en fu compains, mais li D, K, S, R, W, V, Y, AE, F3 ; (3) seut mot devant, D, S ; (4) Y, AE, W, A3, F3 ; que la … comment mq. F ; (5) Cà, autre hore là R, Y, AE, W, A2

 

N.B. Per la nota 2, ho considerato poziore la lezione dell’apparato critico, così ampiamente supportata dalla tradizione manoscritta.

 

L’autore invierà a chiunque gliene faccia richiesta all’indirizzo teseo2347@libero.it gli originali delle testimonianze citate. E infatti praticamente impossibile includerle nel testo o nelle note.

 

 

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